Il risotto è la sintesi di più di due secoli di storia gastronomica italiana. La rivoluzionaria tecnica di cottura del riso tramite la "tiratura" con il brodo è stato il punto di arrivo di questa preparazione, e di cui, uno dei passaggi più importanti fu l'adattamento dei risi alla nuova tecnica di cottura.
Il riso Carnaroli fu creato nel 1945 da Ettore Devecchi accoppiando Vialone nano e Nencino. Il riferimento gastronomico dei selezionatori era proprio il risotto: se infatti fino ad allora non esistevano specifici risi da risotto quanto piuttosto quei risi oggi definiti comuni caratterizzati da chicchi piccoli e tondeggianti, ma sufficientemente versatili anche per i risotti. "Con Carnaroli e Arborio abbiamo a che fare con risi superfini, con chicchi lunghi e grossi che vengono ideati specificatamente per garantire la miglior resa sia in fase di cottura che in quella di mantecatura, in modo da offrire al palato il miglior compromesso tra la tenuta del singolo chicco e la morbidezza dell'insieme. Sono risi che presentano un'alta percentuale di amilosio, uno dei due componenti dell'amido che nei risi raffinati è il composto preponderante, costituendo più del 90% del peso secco del grano. L'amilosio, a differenza dell'amilopectina, non è idrosolubile e dunque durante la cottura contribuisce a garantire al chicco la sua consistenza diminuendo la collosità della preparazione. Quindi la qualità del riso ideale per il risotto presenta chicchi di ragguardevoli dimensoni, ricchi sì di amido ma in grado di cederlo in progressione senza però perdere la loro anima e senza ridurlo in poltiglia".
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