martedì 20 marzo 2012

La coltivazione del riso

Il nostro impegno è quello di ridurre sempre più l'utilizzo della chimica per favorire una lotta alle malerbe e ai parassiti delle piante tramite mezzi meccanici e naturali.
Stiamo sperimentando il metodo Riso Secondo Natura, scegliendo una minima lavorazione del terreno e creando una lettiera, con le paglie del riso, che rende il suolo naturalmente più fertile.
La povertà del terreno, caratteristica di queste zone di baraggia, inoltre fa sì che la resa in produzione sia minore, dando però al chicco una qualità migliore.

La lavorazione del risone è certificata come "Riso di Qualità Superiore" ed avviene con cilindri in pietra. La lucidatura del chicco avviene tramite l'olio presente sulla gemma del riso, che al suo schiacciamento, si "auto-lucida", conservando le qualità nutrizionali della gemma stessa.

Il Riso

Il nostro riso è 100% Carnaroli
Il Carnaroli è il riso più pregiato della produzione italiana, classificato come superfino.
I frequenti sbalzi termici che si verificano nella nostra azienda, favoriti dai venti alpini, e le acque fredde che discendono dai monti e allagano i campi, danno alla maturazione del chicco dei tratti peculiari: il chicco assume una superiore compattezza dei tessuti cellulari, una superiore traslucidità e una minore dimensione in volume, peso e lunghezza.
Le foglie e i chicchi del riso Carnaroli hanno una particolare colorazione violacea e hanno, aspetto raro tra tutti i risi, un "baffo" all'estremità del chicco.
La pianta ha un aspetto molto particolare: innanzi tutto è molto alta, caratteristica temibile per i produttori in quanto ha la tendenza ad allettarsi, ovvero a coricarsi sul suolo quando è maturo, e ciò rende la sua raccolta molto difficile. Inoltre ha una resa bassissima rispetto alle altre varietà di riso, quasi tre volte inferiore.
Per questo non si fa fatica a credere che questa varietà stia scomparendo, è infatti poco adatta ai mercati: basse rese e difficoltà di raccolta.
Con il riso Carnaroli di Busonengo ci impegnamo a salvaguardare l'antico seme del vero Carnaroli, ottenuto nel 1945 dall'incrocio tra Vialone nano e Nencino: il primo ha apportato un alto contenuto di amilosio, il secondo, un chicco lungo, grosso e perlato.

domenica 18 marzo 2012

Le confezioni

Il riso Beni di Busonengo è confezionato in sacchetti da 1 kg,
di carta reciclabile - CA (composto da carta 80%) -
senza prodotti chimici aggiunti per la sua conservazione.
Per questo si consiglia di conservarli in un luogo fresco ed
asciutto.

mercoledì 14 marzo 2012

La storia dell'azienda risicola

La prima attestazione di produzione di riso nella nostra azienda è datata 1567, quando Tomaso Langosco, cancelliere del duca di Savoia, chiese in supplica la facoltà di poter coltivare riso nei Beni di Busonengo.
Da allora in queste in terre è sempre stato coltivato riso e sono sempre state condotte in maniera diretta, anche quando, a metà ‘700, passarono ai marchesi Falletti di Barolo. Tancredi e Giulia Falletti di Barolo si occuparono di queste terre, e delle persone che vi abitavano, con la stessa cura con cui amministrarono le loro proprietà langarole, a Barolo, dove furono gli artefi ci del vino Barolo. Nel 1867 l'azienda fu acquistata dalla nostra famiglia, i Solaroli di Briona

la Baraggia

"Chi non conosce le baraggie, non può dire di sapere cos'è il Piemonte" Scriveva Mario Soldati in Vino al Vino, fine autunno 1968: "Oggi la baraggia era stupenda. Nel sole invernale, sullo scenario violetto e bianco delle Alpi, le baraggie erano immensi boschi fitti di querce, ed erano alternamente, campi sterminati di altissime erbacce filamentose, tutte di un compatto, caldo, vivo, splendente giallo zabajone, su cui tornavano a spiccare, qua e là, i rossi ruggine di alcune querce isolate. I medesimi colori di certi altopiani del Kenia"

La Baraggia è una terra affascinante che si trova ai piedi del Monte Rosa; prende il suo nome da brughiera, ovvero landa ricoperta da brugo o erica, arbusto sempreverde. In tempi antichi, questo tipo di vegetazione la rese un luogo ideale per i pascoli invernali delle greggi transumanti dalle Alpi biellesi. Con i secoli e con una capillare quanto ingegnosa opera di canalizzazione, parte della baraggia è stata trasformata in risaia. Il riso è l’unica coltura che può sopravvivere a questo tipo di terreno e di habitat e qui assume delle caratteristiche morfologiche e qualitative uniche.
Al riso di Baraggia è stata riconosciuta nel 2008 la Dop “Riso di Baraggia Biellese e Vercellese”.

Il riso coltivato in Baraggia conferisce al chicco una straordianaria tenuta in cottura ed una migliore assorbimento degli ingredienti. Con la cottura il riso di baraggia manifesta una superiore consistenza del grano e una minore collosità, rispetto all’omologo di altre zone. I chicchi hanno anche una maggiore tendenza a non scuocere, a non incollarsi, a rimanere compatti e sempre al dente e ad assorbire uniformemente il condimento.

lunedì 12 marzo 2012

La lavorazione del risone

Ultimamente si è abbandonata la tecnica di brillatura del riso, quella fase di lavorazione del chicco che lo ripulisce alla perfezione privandolo dell'aleurone e cellulosa e addirittura lucidandolo per renderlo ancora più bianco (con glucosio e talco), ma diafano e privo di sostanze nutritive.

Ora si è ritornati all'antica pilatura a pietra più tradizionale, ove i chicchi non sono propriamente grezzi, ma nemmeno iper-raffinati e si pongono come la sintesi vincente per la preparazione del risotto: cuociono in maniera omogenea, senza cedimenti improvvisi, sono più saporiti perchè non sono costituiti unicamente da amido ma anche da sostanze proteiche contenute nel rivestimento. Giustifica

Il chicco è lasciato qua e là coperto dai residui sbrani della pellicola, il pericarpo, "come da una esilissima lacera veste color noce o color cuoio".

Il Risotto

Il risotto è la sintesi di più di due secoli di storia gastronomica italiana. La rivoluzionaria tecnica di cottura del riso tramite la "tiratura" con il brodo è stato il punto di arrivo di questa preparazione, e di cui, uno dei passaggi più importanti fu l'adattamento dei risi alla nuova tecnica di cottura.
Il riso Carnaroli fu creato nel 1945 da Ettore Devecchi accoppiando Vialone nano e Nencino. Il riferimento gastronomico dei selezionatori era proprio il risotto: se infatti fino ad allora non esistevano specifici risi da risotto quanto piuttosto quei risi oggi definiti comuni caratterizzati da chicchi piccoli e tondeggianti, ma sufficientemente versatili anche per i risotti. "Con Carnaroli e Arborio abbiamo a che fare con risi superfini, con chicchi lunghi e grossi che vengono ideati specificatamente per garantire la miglior resa sia in fase di cottura che in quella di mantecatura, in modo da offrire al palato il miglior compromesso tra la tenuta del singolo chicco e la morbidezza dell'insieme. Sono risi che presentano un'alta percentuale di amilosio, uno dei due componenti dell'amido che nei risi raffinati è il composto preponderante, costituendo più del 90% del peso secco del grano. L'amilosio, a differenza dell'amilopectina, non è idrosolubile e dunque durante la cottura contribuisce a garantire al chicco la sua consistenza diminuendo la collosità della preparazione. Quindi la qualità del riso ideale per il risotto presenta chicchi di ragguardevoli dimensoni, ricchi sì di amido ma in grado di cederlo in progressione senza però perdere la loro anima e senza ridurlo in poltiglia".